SONATA A KREUTZER di Lev Tolstoj

Autore: Lev Tolstoj

Curatore: Gianlorenzo Pacini

Editore: Feltrinelli

Collana: Universale economica. I classici

Edizione: 10

Anno edizione: 2014

Formato: Tascabile

In commercio dal: 4 giugno 2014

Pagine: 148 p., Brossura

EAN: 9788807901423

Prima che, purtroppo, il mio gruppo di lettura si sciogliesse, era stata proposta da una delle socie, la lettura del romanzo “Amore colpevole” di Sof’ja Tolstaja [ http://labibliatra.altervista.org/amore-colpevole-di-sofja-tolstaja-recensione/ ]. Una delle motivazioni della scelta era proprio che fosse la “risposta” alla “Sonata a Kreutzer” del marito. Non avendo letto neanche quest’opera ho deciso di procedere consequenzialmente con la lettura dei due romanzi.

Di Lev Tolstoj ho letto in passato solo i più celebri “Guerra e pace” e “Anna Karenina”, due romanzi che, sebbene prolissi, ho amato tantissimo, pertanto mi aspettavo sicuramente qualcosa di piacevole quanto ciò che avevo già letto.

Sin dall’inizio, invece, ho iniziato a provare un senso di fastidio che, a mano a mano che ho proceduto con la lettura dell’opera è diventato un vero e proprio malessere. Non nego che ad un certo punto, nelle fasi iniziali della lettura, avrei volentieri chiuso il breve romanzo o cestinarlo del tutto.

Ma procediamo con ordine. Il romanzo si svolge interamente in viaggio, su un treno dove il narratore incontra un uomo che gli racconta la sua storia.

“Si era all’inizio della primavera. Era già il secondo giorno che ero in viaggio. Capitava spesso che nel vagone entrassero persone che percorrevano brevi distanze e dopo un po’ scendevano. Ma tre passeggeri, oltre a me, erano in viaggio fin dalla città di partenza del treno: una signora non bella e non più giovane, che fumava molto, dal volto emaciato, con in dosso un soprabito di foggia maschile e un berretto in testa; un suo conoscente, un uomo loquace sui quaranta, che portava un abito nuovo e di un’eleganza piuttosto ricercata, e infine un uomo che si teneva un po’ in disparte, di bassa statura, dai movimenti bruschi, non ancora vecchio, ma con certi capelli crespi incanutiti precocemente e degli occhi straordinariamente brillanti che si spostavano velocemente da un oggetto all’altro.”

Il protagonista della storia, un nobile agiato, racconta con dovizia di particolari  ad uno sconosciuto di aver ucciso sua moglie. Davanti allo sconcerto del viaggiatore, Pozdnysev ripercorre le vicende che in un crescendo drammatico lo avevano portato a diventare un uxoricida.

Nella prima parte narra dell’innamoramento e dei primi tempi del matrimonio con la moglie, in realtà una lunga e articolata riflessione sull’ipocrisia della vita matrimoniale, che, secondo l’autore, nasconde la soddisfazione dell’istinto animalesco dell’uomo, che, invece, dovrebbe dominare e respingere, limitando l’unione carnale solo col fine della procreazione.

“Se c’è uno scopo della vita, e questo scopo sia pure il benessere, il bene, l’amore o quel che lei vuole, se lo scopo della vita è quello annunciato nelle profezie, e cioè che tutte le genti dovranno venir fuse per foggiarne delle falci e così via, in tal caso cos’è che impedisce il raggiungimento di un tal fine? Naturalmente le passioni.”

Attraverso la condanna della donna e della bellezza arriva addirittura a negare il valore delle arti, promotrici di una sensualità illusoria e falsa.

La disamina che fa della donna è sconcertante ai miei occhi, perché seppur devo contestualizzarla al periodo storico, sinceramente non riesco a non inorridire di certi suoi commenti.

 “Ma il fatto che una conosca bene la matematica o un’altra sappia suonare l’arpa non cambia minimamente la situazione. La donna è felice e raggiunge il culmine dei suoi desideri quando le riesce di ammaliare un uomo, e quindi il principale compito della donna consiste appunto nell’imparare l’arte di ammaliarlo. Così è stato e così sarà. Nel nostro ambiente questo è vero sia nella vita di una donna non ancora sposata, sia dopo il matrimonio; prima ciò le è necessario per assicurarsi la facoltà di scelta, e dopo per esercitare il suo dominio sul marito.”

Ritornando al racconto, la vita dei due coniugi non trascorre felicemente e con l’arrivo di ogni figlio si allontanano sempre più.

Giunge in visita un vecchio conoscente di Pozdnysev, un affascinante violinista, che inizia a frequentare assiduamente la casa, duettando con la moglie pianista.

Una sera i due musicisti si esibiscono suonando la “Sonata a Kreutzer” di Beethoven, mostrando ai presenti l’armonia e l’affiatamento tra i due.

Questa verità e il pericoloso potere di suggestione che la musica riesce ad esercitare sul protagonista, fan sì che in Pozdnysev si instilli il tarlo della gelosia.

“«Eseguirono la ‘Sonata a Kreutzer’ di Beethoven. Lo conosce lei il primo tempo? Il ‘presto’ iniziale, lo conosce?!» gridò addirittura. «Oh è qualcosa di terribile quella sonata. E specialmente quel tempo iniziale. Del resto la musica in generale è una cosa tremenda. Ma che cos’è poi? Io non lo capisco. Cos’è la musica? Che effetto ha su di noi? E perché ha l’effetto che ha? Si dice che la musica ha l’effetto di elevare l’animo, ma non è vero, sono sciocchezze! È certo che un effetto ce l’ha, un effetto terribile, almeno su di me, ma niente affatto nel senso di elevare l’animo, e nemmeno di abbatterlo, bensì quello di eccitarlo. Come potrei spiegarglielo? La musica mi costringe a dimenticarmi di me stesso, a dimenticare la mia situazione concreta, e mi trasporta in una situazione diversa, che, non è la mia; sotto l’influenza della musica mi sembra di sentire ciò che in realtà non sento, di capire ciò che non capisco, di poter fare cose che in realtà non posso fare. Io me lo spiego nel senso che la musica agisce come uno sbadiglio, come una risata: non ho voglia di dormire, eppure sbadiglio se vedo qualcuno che sbadiglia; e così, anche se non c’è nessuna ragione di ridere, io rido se sento qualcuno che ride.

Di colpo la musica mi trasporta direttamente nella condizione spirituale in cui si trovava il suo autore al momento di scriverla. La mia anima si fonde con la sua, e io mi vengo trasferendo insieme a lui da uno stato d’animo all’altro, ma perché questo accada io non lo so. Certo colui che ha scritto la musica – mettiamo si tratti della ‘Sonata a Kreutzer’ di Beethoven – sapeva perché si trovava in quel tale stato d’animo, che lo spingeva a compiere determinati atti e che perciò per lui aveva un senso; ma per me, invece, non ne ha nessuno. E appunto per questo che la musica non fa che eccitare, ma non conclude».”

Ed è vero che la musica eccita, è un effetto che ritrovo su di me, che, infatti, evito di ascoltarla di sera. Ed è vero quel che il protagonista dice del tempo iniziale della sonata, quel ‘presto’ che è qualcosa di magnifico, quasi magnetico ed è percepibile ad occhio nudo sullo stesso spartito, anche per chi la musica non la conosce.

Ma non è terribile, è incantevole!

https://www.youtube.com/watch?v=5YKmb7_y3E8

 

“Su di me l’esecuzione di quel pezzo ebbe un effetto terribile: fu come se mi si scoprissero sentimenti nuovi, che mi pareva di non aver mai conosciuto, come se mi si svelassero nuove possibilità di cui fino ad allora non avevo avuto sentore. Fu come se una voce mi parlasse nell’intimo e mi dicesse: ecco com’è che si deve vivere e pensare, e non come vivevi e pensavi prima!”

I primi quattordici minuti, infatti, sono decisamente i più interessanti ed impressionanti di tutta la sonata, sviluppano un motivo perpetuo ed appassionato e s’imprimono fortemente nella mente dell’ascoltatore.

E la frenesia della musica di Beethoven prende in pieno l’animo di Pozdnysev che improvvisamente si chiede come avesse fatto fino a quel momento ad ignorare i segnali che improvvisamente gli si rivelano, quelli dell’adulterio della moglie!

Tolstoj minuziosamente descrive gli sguardi, i gesti, i visi, le sensazioni:

“Ricordo come lei aveva sorriso, debolmente malinconica e beata, asciugandosi il sudore dal viso accaldato quando io mi ero avvicinato al pianoforte. Già allora si sfuggivano entrambi con lo sguardo e solo a cena, mentre lui le versava dell’acqua, si erano guardati sorridendosi appena. In quel momento mi sovvenne con terrore quel loro sguardo che avevo colto e quel sorriso appena percettibile. «Sì è accaduto tutto», mi diceva una voce e subito un’altra mi diceva il contrario”

Più o meno a tutti noi è capitato di essere investiti dalla “febbre” della gelosia, quel mostro invisibile che ci attanaglia e ci rende inconsapevolmente odiosi, maligni e cattivi…

“Fin dal primo istante in cui i loro occhi si erano incontrati avevo visto che la bestia, che dormiva dentro loro due, si era destata infischiandosene di tutte le convenzioni sociali e anche di quelle imposte dalla situazione e aveva chiesto: «Si può?» E aveva anche risposto: «Ma sì, certo che si può!»”

Non è un caso la scelta della sonata da parte dell’autore per descrivere tutto ciò, la narrazione è densa, tremenda ed emotivamente tempestosa, così come si sentiva Tolstoj quando udiva questa sonata risuonare tra le pareti della propria casa. In particolare, nella primavera del 1888, dopo una sua esecuzione a una riunione di amici, lo scrittore propose ad alcuni di loro una prova: dare una forma artistica alle emozioni suscitate dalla sonata e scrisse questo racconto.

Va, inoltre, sottolineato come in una prospettiva storica, culturale ed antropologica il violino è sempre stato considerato emblematicamente lo ‘strumento del diavolo’ .

Già dal Cinquecento iconograficamente il violino aveva una connotazione negativa dal punto divista etico-religioso, tant’è che  era lo strumento dei musici di strada, delle feste di paese e delle danze popolari, legato alla dimensione lasciva e peccaminosa. Il violino è lo strumento attraverso il quale il diavolo tenta e porta alla perdizione l’uomo e Tolstoj lo usa simbolicamente per sottolineare ancora una volta la sua tesi sull’animo umano, capace solo di farsi catturare dagli istinti animaleschi, quell’unione dei sessi che viene vista solo come una bestialità che soffoca la natura umana.

In questo excursus non posso non citare Paganini (come omaggio anche alla città che da un po’ mi ospita!), con il quale si rafforza questa credenza sul violino, si diceva, infatti, che avesse venduto l’anima al diavolo per riuscire a suonare in quella maniera e che addirittura le corde del suo violino (il famoso Cannone) derivassero dalle viscere delle amanti che il musicista uccideva, per poi farle rivivere nella sua musica.

Di qui il ritmo del racconto, quasi come se seguisse la musica di Beethoven, si fa più incalzante e seguiamo, come se fosse un virtuosismo violinistico, la vorticosa lucida follia del protagonista che giungerà al tragico epilogo finale.

Il tormento feroce della gelosia è espresso con la stessa veemenza dell’eros e Pozdnysev, finisce con l’apparire al lettore non il carnefice, ma la vittima della stessa violenza che brandisce quel pugnale.

“Tanto più contemplavo quei quadri immaginari, tanto più mi venivo convincendo della loro veridicità. La vivezza con cui si presentavano alla mia fantasia costituiva in certo modo per me una prova del fatto che ciò che m’immaginavo corrispondeva alla realtà. Era come se un diavolo dentro di me, contro la mia stessa volontà, inventasse continuamente e mi suggerisse le immagini più spaventose.”

Sin da subito nell’opera è stata ravvisata un’allusione alla storia privata del rapporto coniugale dell’autore, dove il ritratto poco lusinghiero della moglie del protagonista del racconto coincide con quello di Sof’ja Tolstaja che, non a caso, ha scritto la sua ‘versione’ con il romanzo “Amore colpevole”, che mi accingo a leggere e di cui vi parlerò nelle prossime settimane.

Seppur, quindi, in totale disaccordo con i pedanti insegnamenti moralistici dell’autore, è una lettura che consiglio, grazie alla grandezza e alla potenza della scrittura di Tolstoj che, senza grandi descrizioni riesce a imprimere voce e forza espressiva al racconto, catturando l’attenzione del lettore.

Valore aggiunto, inoltre, è stata la scoperta dell’opera di Beethoven che mi ha completamente sedotta e che non riesco a smettere di ascoltare!

“Dire che si possa amare per tutta la vita un solo uomo o una sola donna è la stessa cosa che dire che una candela possa ardere per tutta la vita.”

Citazioni tratte dal romanzo, pubblicate sui miei profili Facebook e Instagram 

 

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