SHIRLEY

Traduttore: S. Terziani
Editore: Fazi
Collana: Le strade
Anno edizione: 2016
In commercio dal: 14 luglio 2016
Pagine: 658 p., Brossura
EAN: 9788893250252

Amo la lettura e amo anche l’arte, spesso gironzolo nella libreria come se stessi facendo una visita ad una galleria d’arte. Mi guardo in giro, l’occhio cade su una bella copertina, prendo in mano il libro, lo annuso (ebbene si adoro il profumo dei libri!!!), leggo la quarta di copertina, poi passo all’aletta anteriore, ma non arrivo sino in fondo, ho timore che sveli troppo la trama, inizio a leggere qualche rigo a casaccio nel testo e…dulcis in fundo lo acquisto, dopo ovviamente aver ripetuto innumerevoli volte questa stessa operazione, arrivando alla cassa puntualmente carica di libri.
Con “Shirley” è accaduto questo, mi sono “innamorata” della copertina, per poi scoprire che fosse un libro della mia sorella Brontë preferita, Charlotte.
La copertina è un particolare del “ Portrait of a Woman” (c. 1825), di Henry Inman (1801-1846), oggi esposto al Brooklyn Museum, il quadro è questo:

Acquistato, quindi, questo mio ultimo “tesoro”, nel gennaio del 2016 (non ho una memoria così eccezionale, ho l’abitudine di scrivere luogo e data d’acquisto, è malattia lo so!!!), approfittai di un uggioso fine settimana e di un leggero stato influenzale per infilarmi nel letto e leggere tutto d’un fiato le 658 pagine!
Come spesso accade, quando leggo così velocemente un libro, ahimè, ricordo pochissimo.
Casualmente il libro è stato scelto dal club di lettura di cui sono membro come romanzo del mese di febbraio e questo mi ha dato modo di fare una rilettura più lenta e consapevole e “gustarmi” il libro a piccoli morsi.
C’è chi, a priori, vedendo un tomo così voluminoso si spaventa e non affronta neanche la lettura, per me e sicuramente per molti amanti dei libri, questo invece significa che non dovremo abbandonare presto i nostri “nuovi amici”.
Ho, dunque, ricominciato a leggere il romanzo, le prime sessanta pagine sono state di una noia mortale, non riuscivo a crederci, mi era piaciuto così tanto la prima volta ed ora non riusciva a decollare la lettura…troppe citazioni bibliche, descrizione di personaggi che nella storia hanno un ruolo marginale e, soprattutto, intorno a pagina trenta, un’accentuata misoginia e una considerazione delle donne, da parte di alcuni personaggi maschili, da farmi rizzare i capelli!!!
Più avanti incontriamo una dolce e mite fanciulla, Caroline Helstone, a cui subito mi sono affezionata. “[…]a diciott’anni, non si è ancora consapevoli. La Speranza ci sorride, ci promette un domani felice…ed è considerata veritiera! E quando Amore, quale angelo vagabondo e smarrito viene alla nostra porta, ecco che subito è accolto, gradito e abbracciato. Non vediamo la sua faretra: e quando le sue frecce si conficcano a fondo, la ferita è come un palpito di vita nuova. Di quelle frecce non si teme il veleno né le punte che nessuna mano di chirurgo potrà estrarre mai. [..]” (pag.105).

È innamorata di un altro personaggio principale e ovviamente inizio a parteggiare per lei.
Della protagonista che dà nome al romanzo, però, ancora nessuna traccia! Bisognerà aspettare pagina 206 per fare la sua conoscenza, una giovane donna anche lei, come Caroline, ma da lei differente, potremmo quasi dire che siano l’opposto l’una dell’altra.
La storia si complica, pare che anche lei si innamori, forse ricambiata, dello stesso uomo segretamente amato dalla povera Caroline. E qui emerge la mia istintiva propensione per i più deboli e non posso che “tifare” per la giovane fanciulla più povera, più benevola, in apparenza più sfortunata…
La trama s’infittisce, l’intreccio diventa movimentato e ad ogni pagina si resta col fiato sospeso. Com’è mia abitudine non rivelerò altro della trama del libro, a me non piace conoscere il finale e non sarò certo io a svelarvelo, leggetelo e non ne resterete delusi.

Magistrali sono le descrizioni dei luoghi e dei personaggi, leggendole ci sembra di stare lì in quella stessa stanza o di avere davanti a noi quel tale personaggio. Nella caratterizzazione delle persone, poi, sia nella descrizione fisica che di quella della personalità c’è una sottile vena ironica dell’autrice che, con poche e incisive parole, ci dà il quadro completo del personaggio con cui abbiamo a che fare. La Brontë interrompe la narrazione dell’evento e si rivolge direttamente al lettore per fare le sue descrizioni ed una lettrice si sente ancor più partecipe del romanzo, entra a far parte di esso, completamente, invitata dalla stessa autrice, è un espediente che a me fa sempre effetto, potremmo quasi dire che mi lusinga.
A proposito di ironia mi piace qui ricordare la descrizione dei tre curati. Nel romanzo hanno un ruolo marginale, ma vengono dipinti in maniera buffa e divertente. Nel capitolo XV assistiamo ad una scenetta a dir poco ridicola, sono rincorsi da un cane e uno di loro si nasconde in una stanza nella casa della protagonista. Nel leggere questa parte ho riso di gusto.

Fa da sfondo alla vicenda la guerra napoleonica e le conseguenze del blocco continentale proclamato da Napoleone con il decreto di Berlino (il 21 novembre 1806, contro l’Inghilterra) Per effetto del quale nessuna nave che provenisse direttamente dall’Inghilterra o dalle sue colonie poteva più essere accolta nei porti dell’Impero francese. In risposta alle analoghe misure prese dall’Inghilterra, Napoleone con i decreti di Fontainebleau e di Milano (1807) dichiarò confiscabili le navi neutrali che avessero fatto scalo in porti inglesi.
Ciò genera in tutta l’Inghilterra industrializzata un calo delle produzioni e , di conseguenza, un impoverimento della classe operaia.
È quindi questo anche un “romanzo sociale”, una sorta di denuncia della condizione operaia e non solo, perché la figura centrale maschile del romanzo, Robert Moore, era un imprenditore capitalista moderno che credeva nelle macchine e nel loro sviluppo, contrastato dagli operai che, invece, vedevano in esse un nemico da contrastare.
È famosa la frase del II capitolo a pagina 36 “La miseria genera l’odio: l’indigente odiava le macchine che, a suo avviso, gli toglievano il pane; odiava gli stabilimenti che le ospitavano; odiava i proprietari di quegli stabilimenti.”

Nel leggere il romanzo si notano due parti distinte, quasi due romanzi differenti.
“Se da questo preludio, o lettore, pensi che ti si ammannisca qualcosa di romantico… ebbene, non ti sei sbagliato di più! Pregusti sentimentalismo, poesia, sogni ad occhi aperti? Ti vai immaginando passione, emozione e melodramma? Calmati e riporta le tue speranze a un livello inferiore. Ti sta davanti qualcosa di assai concreto, di freddo e solido. E di così poco romantico come può esserlo un lunedì mattina per chi va a lavorare e si sveglia con la coscienza di dover uscire dal letto e per giunta anche di casa.”
L’intento dichiarato di Charlotte Brontë è, infatti, scrivere un romanzo sociale e nella prima parte ci riesce, parla delle condizioni economiche del nord Inghilterra, della situazione della classe operaia, ma anche dei proprietari delle fabbriche, l’introduzione dei macchinari e il luddismo.
Nella seconda parte, però, il romanzo diventa un po’ più sentimentale, anche se il tema sociale non è del tutto trascurato. Si fa soprattutto riferimento alla condizione della donna, in famiglia e nella società. Più volte si accenna positivamente all’eventualità di un’indipendenza delle donne.
Coltivate le loro menti, date uno scopo alla loro vita, un lavoro, ed esse saranno le gaie compagne dei giorni lieti,[…]” (pag. 408)
Moltissimi, poi, sono gli accenni alla condizione delle donne costrette a lavorare nelle famiglie altrui in qualità di istitutrici. Il quadro è a dir poco pessimo. Chi conosce un po’ la vita dell’autrice sa che essa è stata istitutrice e non possiamo non pensare che abbia tratto spunto dalle sue esperienze personali per “denunciare” i soprusi subiti.

Mentre leggevo il romanzo un pensiero frullava nella mia mente, Charlotte era amica di un’altra scrittrice, Elisabeth Gaskell, famosa per i suoi romanzi sulla classe operaia e la miseria della vita nelle città industriali. Mi ero, quindi, convinta che nella stesura del romanzo avessero influito le idee dell’amica. Per trovare conferma alla mia ipotesi ho ripreso in mano la biografia “la vita di Charlotte Bronte”, scritta dalla stessa Gaskell (di cui vi parlerò in un prossimo articolo).
In realtà la Gaskell e la Brontë si sono conosciute dopo la pubblicazione di Shirley, quindi forse la loro amicizia sarà stata invece favorita dai loro interessi comuni; questo, comunque, non ci è dato saperlo, ma mi piace immaginarlo.
Leggendo la biografia scritta dalla Gaskell, però, ho appreso numerose notizie riguardo “Shirley” che hanno soddisfatto tante mie curiosità e che , secondo me, è giusto farvi conoscere.
-La stesura di “Shirley” è iniziata subito dopo la pubblicazione di “Jane Eyre” (1847) ed è stata poi pubblicata nel 1949.
-Field Head, residenza di Shirley, è stata identificata con Oakwell Hall, che sorge nei pressi della seconda scuola dove viene mandata l’autrice, a Roe Head, presso Miss Wooler, dove poi vi ritornerà anche come insegnante. Ed anche gli avvenimenti reali che ispirano il romanzo si svolsero nelle immediate vicinanze.
-Molti dei personaggi descritti si ispirano a persone realmente esistite. Shirley, ad esempio, altri non era che la sua sorella preferita, Emily, l’autrice di “Cime Tempestose” e lo stesso cane della protagonista del romanzo era Keeper, il bulldog di Emily. Alcune vicende di quest’ultimo, infatti, sono il resoconto esatto di ciò che era realmente accaduto alla canonica di Haworth.

Sempre dal libro della Gaskell si legge “in Shirley si ispirò dal vivo per molti dei suoi personaggi, ma inventò i fatti: pensava che, essendo questi fittizi, poteva ritrarre la realtà delle persone senza che venissero riconosciute. Ma si ingannava: i suoi schizzi erano troppo accurati. E questo la mise in difficoltà. Ci fu chi si riconobbe, chi venne riconosciuto da altri, sia nel fisico, che nel comportamento e nel modo di pensare […]” (“la vita di Charlotte Brontë”, E. Gaskell, cap. IV, pag.315)

“Shirley”, tra l’altro, fu il romanzo che svelò la vera identità dell’autrice, la Gaskell ci racconta che un oriundo di Hawort che viveva a Liverpool, dopo aver letto il libro e aver fatto le sue deduzioni, scrisse un articolo in cui rivelava il vero nome della scrittrice, che, invece, si era sempre firmata sotto lo pseudonimo di Currer Bell.

Aggiungo solo un’altra curiosità sul romanzo e sulla vita della sua autrice: il componimento narrativo, come prima accennavo, sembra quasi essere diviso in due parti, due romanzi distinti, spartiacque è il capitolo XXIV intitolato “La valle delle ombre e della morte”. Tra il settembre 1848 e il maggio 1849  vi furono la morte del fratello e delle due sorelle Emily e Anne. Charlotte  termina “Shirley” con uno spirito totalmente differente da quando l’ha iniziato, probabilmente la “svolta” sentimentale è ciò di cui lei ha bisogno, si rifugia in un lieto fine, cerca nel suo romanzo ciò che non ha avuto dalla realtà.

In conclusione il romanzo è piacevole e a mio parere va sicuramente letto ed è da possedere nella propria biblioteca personale.

VOTO: 8/10

“[…] a diciott’anni non si è ancora consapevoli. La Speranza ci sorride, ci promette un domani felice…ed è considerata veritiera! E quando Amore, quale angelo vagabondo e smarrito viene alla nostra porta, ecco che è subito accolto, gradito e abbracciato. Non vediamo la sua faretra: e quando le sue frecce si conficcano a fondo, la ferita è come un palpito di vita nuova. Di quelle frecce non si teme il veleno né le punte che nessuna mano di chirurgo potrà estrarre mai […]”

 

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2 commenti su “SHIRLEY

  1. Bepa il said:

    Affascinante il tuo modo di recensire un libro. Se possedessi una casa editrice ti sequestrerei e licenzierei tutti i pubblicitari! Brava

    • labibliatra il said:

      Grazie mille Bepa!!!
      Sarebbe bellissimo lavorare in una casa editrice, un sogno lavorare con i libri e per i libri!!!

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