SO CHE UN GIORNO TORNERAI di Luca Bianchini

 

 

 

Editore: Mondadori

Collana: Scrittori italiani e stranieri

Anno edizione: 2018

Pagine: 264 p., Brossura

EAN: 9788804706151

 

 

 

 

 

Sabato 18 Maggio ho partecipato all’incontro con Luca Bianchini, per la presentazione del libro “So che un giorno tornerai”.

Non avevo mai letto nulla scritto da lui, avevo soltanto visto due dei film, che mi hanno molto divertita, tratti da suoi libri, “Io che amo solo te” e il sequel  “La cena di Natale”, girati in luoghi a me molto cari.

Pur essendo di origine piemontese, conosce molto bene la Puglia come territorio, ma anche i nostri usi e costumi. Ha abbondantemente divertito la platea di ascoltatori di quella sera con una serie di aneddoti personali sui pugliesi, fatto con una sottile, delicata e intelligente ironia. Ha ormai assimilato benissimo le nostre abitudini e tradizioni, tanto da poter ormai dire che è un pugliese d’adozione.

 

Tra battute e tante risate, in un clima giocoso e ridanciano, si è anche parlato del libro che era venuto a presentare, il frutto della sua ultima fatica letteraria.

Ci ha raccontato come è nata la storia del libro; una sera era giù di morale e ha incontrato questa donna che gli ha raccontato la sua vita, ne è rimasto così folgorato da trarne un romanzo, cambiando nomi e luoghi. Le ha poi dedicato il libro, come si legge sul testo “A Floriana Ferrari, che doveva chiamarsi Giorgio”.

La vicenda, infatti, inizia con questa giovane donna, Angela, che partorisce in un ospedale di Trieste. Le dicono che è nata una bambina e le chiedono quale nome le volesse dare, lei non lo sa, perché ha sempre pensato, o meglio sperato, che nascesse un maschietto, che avrebbe chiamato Giorgio. Alla fine decide per Emma, come Emma Bovary, ma è infelice, perché la nascita di un bambino era l’unica speranza di poter restare con il suo uomo, Pasquale. È un mercante di jeans calabrese, trasferitosi al nord per svolgere la sua attività, che le ha fatto la corte nel bar dove lei lavorava. Lei cede alle avances insistenti di quest’uomo bello, peccato che ha omesso un piccolo particolare: è già sposato! Le promette che avrebbe riconosciuto il figlio solo se fosse stato un maschio. Emma è, invece, una bambina e lui le abbandonerà. Angela può contare su una numerosa e solidale  famiglia, un po’ sui generis, ma tanto collaborativa, che decide di farsi carico della crescita di Emma, anche perché di lì a poco anche Angela abbandonerà la figlia.

I componenti della famiglia di Emma sono dei veri e propri personaggi farseschi, tra loro spiccano il nonno, il Pipan, in perenne rimpianto del dominio austrico, tanto da avere in cucina un quadro di Francesco Giuseppe,  e lo zio Riccardo, un latin lover, che però nel corso degli anni sarà la figura maschile più vicina ad un padre che Emma avrà.

Emma crescerà con questo manipolo di gente che la adora e che lei adora, con il cruccio però di “non essere maschio”, perché origliando ha sentito la nonna dire che se fosse stata maschio la mamma sarebbe rimasta con lei. Quindi cerca in tutti i modi di diventare maschio,  si rivolge persino a Dio, sperando in un miracolo, ma non succede nulla. Intanto  “Sua mamma, nel frattempo, era diventata un racconto mitologico che si materializzava una volta l’anno, per il suo compleanno.”

“Emma continuava a fissare sua mamma e la trovava bellissima: i capelli biondi e quel trucco vistoso la facevano sembrare una di quelle principesse delle fiabe che tanto piacevano  alle sue compagne. Le sarebbe piaciuto parlare con lei, avere la sua totale attenzione. Dirle che le voleva bene. Invece si sentiva come Heidi, che aveva solo il nonno, la casa e le montagne. ‘E non ho neanche una capretta’ pensò.”

Nel romanzo la storia di Emma arriva sino all’età adulta, conosciamo, quindi tutte le fasi della sua vita, dalla nascita in poi e abbiamo modo di assistere alla sua trasformazione, soprattutto l’evoluzione del rapporto con questa madre assente e mitizzata nell’infanzia, sino poi, invece, alla resa dei conti, al chiarimento con lei, “Tu sei stata una madre veramente mediocre, lasciatelo dire. Ossessionata da se stessa…e mi hai abbandonato qui. A me non fregava niente che tu venissi facendo la splendida portandomi i regali. Io volevo solo te. Volevo il tuo calore, le tue sgridate. Tu invece mi permettevi tutto solo perché ti sentivi in colpa ed è un miracolo che io ce l’abbia fatta lo stesso” . Un momento catartico che non separerà, ma, anzi, unirà le due donne.

Parallelamente al procedere della vita di Emma, nel libro, avanzano anche quelle degli altri personaggi, in particolare proprio quella di Angela, la mamma. Una donna bellissima, che somigliava a Monica Vitti, troppo giovane e forse viziata, che è stata abbandonata dall’uomo che lei ritiene l’amore della sua vita. Pasquale rimarrà, infatti, per lunghi anni il suo chiodo fisso, la meta ancora da raggiungere, perché “Il passato non si può dimenticare, prima o poi torna”  ,  nonostante lei si sposi con un altro uomo, che la ama, la rispetta e l’aspetterà. È una donna contorta, una di quelle che la vita se la complicano anche più di come dovrebbero, un’eterna insoddisfatta, come lei stessa dice “mi sono rovinata da sola, e probabilmente continuerò a farlo, perché ci sono persone che non sanno smettere di farsi male. E io sono tra quelle.”

Come al solito, della trama non racconterò altro, non voglio rovinare la lettura di chi non l’ha ancora letto, ma mi preme dire che il libro ha una sorta di andamento circolare, si chiude il cerchio, aperto all’inizio…

Il romanzo si legge tutto d’un fiato, la scrittura è semplice e la trama con un intreccio denso ed avvincente, caratterizzato da momenti tristi e altri di riflessione, ma non mancano dei passaggi spensierati e talvolta estremamente comici, come, ad esempio, il matrimonio dello zio Riccardo, quando “tutte le ex dello zio Riccardo avevano fatto una specie di comitato di solidarietà, e si erano messe in fila davanti alla chiesa, vestite da cerimonia, per lanciare un’ultima occhiata al playboy più bello di Trieste e alla sua fortunata consorte”.

Fa da sfondo alla vicenda la città di Trieste, una città di mare, come  la mia, di confine e piena di vita. Una città che non conosco, ma che Bianchini con le sue descrizioni ti fa amare, tanto da desiderare di poterla visitare al più presto, per conoscere i luoghi che hanno visto Emma crescere.

“Trieste era soprattutto cielo e mare e chiaroscuri, […]era il suo posto della memoria e della speranza, il luogo delle confidenze e dei primi approcci amorosi. Delle lacrime e delle gioie. Trieste le sorrideva mentre due ragazzi si baciavano poco lontani da lei. Le era sempre piaciuto stare lì”.

 

VOTO: 8/10

 

 

 

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