LETTERE A THEO DI Vincent Van Gogh

Traduttore: Lorena Paladino, Alessandro Mola

Editore: Garzanti

Collana: I grandi libri

Anno edizione: 2018

Formato: Tascabile

In commercio dal: 20 settembre 2018

Pagine: 454 p., Brossura

EAN: 9788811811534

 

Lo scorso dicembre ho visitato la mostra “Van Gogh experience”, un’esposizione virtuale delle opere del pittore che mi ha lasciato insoddisfatta, l’unico valore aggiunto erano le frasi che comparivano sul video, estrapolate dalle lettere di Van Gogh indirizzate a suo fratello Theo, che mi hanno fortemente colpita.

Mi sono messa alla ricerca ed ho trovato questo libro. Appena mi è stato possibile ho iniziato la lettura che, purtroppo, è durata più del voluto a causa di impellenti impegni personali. D’altro canto, forse, la lunga durata della lettura ha permesso a me una più accurata analisi e a chi mi segue sulle pagine di facebook e instagram di avere la possibilità di leggere molte più frasi tratte dalle lettere e corredate dalle foto dei quadri del pittore.

Il libro contiene le lettere che Vincent ha scritto a suo fratello Theo dal 1872 sino alla morte del pittore, nel 1890. Fonte inesauribile per conoscere nell’intimo l’indole di questo grande genio della pittura.

Sin dalle prime missive traspare una personalità ed una sensibilità fuori dal comune, un uomo che è in grado di impressionarsi ed entusiasmarsi facilmente, in una maniera fin troppo intensa.

“Io sono un uomo passionale, portato a fare cose più o meno insensate, delle quali mi capita più o meno di pentirmi. Delle volte tendo a parlare o ad agire con un po’ troppa fretta, quando invece sarebbe meglio aspettare e portare pazienza.”

“Non credere che io mi ritenga perfetto o che pensi che non sia colpa mia se molti mi considerano una persona poco piacevole. Sono spesso terribilmente e furiosamente malinconico, irritabile, ansioso di comprensione, e quando non ne ricevo divento indifferente, duro e combino guai.”

Nelle prime lettere incontriamo un Van Gogh sconosciuto ai più, tutto concentrato sulla sua missione religiosa, sono in realtà delle pagine un po’ troppo intrise di religione in cui si denota

una fede che rasenta il fanatismo.

Il carteggio, superata questa fase migliora moltissimo.

Sono decisamente molto interessanti le lettere in cui descrive al fratello i suoi sforzi e i suoi progressi nel campo del disegno e della pittura; la sua attenzione ai particolari e la meticolosità nello studio dei colori. Da queste pagine si evince la sua natura scrupolosa e diligente nello studio dei pittori del passato e contemporanei e della ricerca di una sua dimensione personale per esprimere la sua arte. Vi troviamo, inoltre, minuziose descrizioni dei disegni e dei quadri a cui sta lavorando, opere che oggi ammiriamo nei più grandi musei del mondo.

“Voglio fare dei disegni che riescano a ‘commuovere’ la gente. ‘Dolore’ è soltanto un inizio, e forse lo sono anche quei piccoli paesaggi come il ‘Laan van Meedervoort’, ‘Campi a Rijswijk’ e ‘Aia per seccare il pesce’. Almeno in quelli c’è qualcosa che mi viene direttamente dal cuore.”

“E mi pare che non sia possibile studiare l’arte giapponese senza diventare molto più allegri e felici e senza tornare alla natura malgrado la nostra educazione e il nostro lavoro in un mondo fatto di convenzioni.”

“[…]un mio studio di una candela illuminata e due romanzi (uno giallo, l’altro rosa) appoggiati su una poltrona vuota (proprio la poltrona di Gauguin), una tela da 30, in rosso e verde. Oggi ho lavorato ancora al suo gemello, la mia sedia vuota, una sedia di abete con una pipa e una borsa di tabacco.”

 

Ma le lettere a Theo non sono solo questo. Leggendole abbiamo una completa conoscenza della vita e dei pensieri di Van Gogh.

Le sue tristi storie d’amore, prima l’infatuazione per la cugina Kee, di fronte ai genitori della quale, si ustionò volontariamente una mano sulla fiamma di una lampada, per dimostrare loro l’ onestà delle sue intenzioni; poi la convivenza con Sien, una prostituta madre di una bambina e in attesa di un altro figlio, che pensò anche di sposare attirandosi le ire e il biasimo dei familiari.

 

“Voglio dire che si capisce che cosa sia l’amore quando si è accanto al letto di un malato, magari senza un soldo in tasca. Non è come raccogliere fragole in primavera: quello dura soltanto pochi giorni e la maggior parte degli altri mesi sono grigi e tristi.”

 

Dall’epistolario, inoltre, emerge il difficile rapporto con i suoi familiari e in particolar modo con il padre “Theo, ho smesso completamente di litigare con papà ormai da molto tempo perché ho capito che papà non ha mai riflettuto su alcune cose veramente importanti né mai ci rifletterà, che si aggrappa ad un sistema e ragiona soltanto in base ad esso e non ragiona (né mai lo farà) in base ai fatti.”

“hanno la stessa paura di accogliermi in casa che avrebbero se si trattasse di un grosso cagnaccio.”

“Senza volerlo sono diventato per la famiglia una specie di personaggio impossibile, sospetto, uno che non merita alcuna fiducia: come potrei dunque rendermi utile a qualcuno?”

“Sapendo quanto contino i pregiudizi della gente, so che quello che devo fare è abbandonare definitivamente la mia classe sociale, che comunque mi aveva respinto già da molto tempo. Di più non posso fare.”

Gli stessi rapporti con il fratello, non sono stati sempre idilliaci come si legge in tutte le biografie del pittore, ci sono stati alcuni periodi in cui Vincent Van Gogh non si sentiva apprezzato e compreso neanche da lui “Quello che mi ha infastidito di te in quest’ultimo anno è che sei sprofondato sempre più in una specie di fredda rispettabilità che trovo sterile e inutile, diametralmente opposta a tutto quanto è azione e soprattutto a tutto quanto è arte.”

Lo accusa di non aver voluto rischiare di vendere i suoi quadri per cui si rivolgerà ad un altro mercante d’arte. È in realtà una breve parentesi di incomprensione tra i due fratelli, che, invece, per tutto il resto della loro vita saranno molto legati.

Un altro argomento predominante nelle lettere sono i libri, ne emerge che Van Gogh fosse un insaziabile lettore ed ogni volta che legge qualcosa la descrive al fratello, consiglia il libro e ne spiega i motivi. Legge, legge tanto, Balzac, Hugo, Maupassant, Dickens e molti altri, ma il suo autore preferito è il naturalista Zola. Da una mia analisi personalissima e molto probabilmente confutabile, sembra che prediligesse quegli autori che si dilungano in minuziose descrizioni (come me del resto!).

“E quando leggo (e a dire il vero non leggo molto: solo pochi autori che ho scoperto per caso), lo faccio perché gli autori vedono le cose in una prospettiva più vasta, più indulgente e più buona della mia, e perché conoscono meglio la realtà e io posso imparare da loro.”

“Ho appena riletto di Zola ‘Al paradiso delle signore’, che trovo sempre

più bello.” Ed io condivido a pieno la sua opinione!

Ogni lettera al fratello ha almeno un riferimento economico, la richiesta di danaro oppure il ringraziamento per quello inviato. I problemi economici saranno sempre il cruccio del pittore in un alternarsi di afflizione e rassegnazione allo status quo.

“…sarei molto contento se tu riuscissi a vedere in me qualcosa d’altro che una specie di fannullone.”

“La povertà impedisce ai sommi ingegni di riuscire, come dice il vecchio proverbio di Palissy, nel quale c’è del vero ed è più che mai vero quando uno capisce la propria missione e il proprio valore.”

“Se invece saprò che mi toglierai il tuo aiuto, allora non potrò fare nulla. Nonostante le migliori intenzioni, la mia mano sarà come paralizzata e tutto sarà misero, tutto sarà terribile.”

Una delle mie frasi preferite è questa

“La povertà ha i suoi vantaggi e i suoi svantaggi. Quindi, nonostante la povertà, correremo il rischio. I pescatori sanno che il mare è pericoloso e la burrasca è terribile, ‘ma non hanno mai pensato che questi rischi fossero una buona ragione per restarsene a oziare a

riva’. Lasciano questo pensiero a chi lo trova interessante. Quando c’è la burrasca e quando viene notte qual è la cosa peggiore? Il pericolo o il timore del pericolo? Io preferisco la realtà, il pericolo in sé.”

La mancanza di danaro, secondo me, ha ostacolato moltissimo la sua attività. Spesso, infatti, si è limitato a fare solo disegni, per evitare di consumare troppi colori, costosi per le proprie finanze. Ed inoltre, sebbene amasse molto i ritratti, si lamentava del fatto che non poteva pagare i modelli per posare per lui. Mi sono chiesta se fosse questo il motivo per cui ha dipinto molti autoritratti…potrebbe essere una spiegazione, dato che, sinceramente, dalle lettere non traspare certamente alcun egocentrismo.

“Per quel che mi riguarda posso solo scegliere se essere un bravo o un cattivo pittore. E scelgo il primo. Ma le necessità della pittura sono come quelle di un’amante costosa. Non si può fare niente senza soldi e non se ne hanno mai abbastanza.”

Negli ultimi tempi, però, diventa più consapevole del suo valore e scrive a Theo:

“Avrai pure sofferto la povertà per tutto questo tempo per darmi di che mangiare, ma io ti renderò i soldi oppure renderò l’anima.”

“Non posso cambiare il fatto che i miei quadri non vendano. Ma verrà il giorno in cui la gente riconoscerà che valgono più del valore dei colori usati nel quadro.”

Come avrete compreso, è un libro che a me è piaciuto tanto, sebbene non

sia stato semplicissimo da leggere, per svariati motivi, non ultimo la mia forte empatia che talvolta mi ha bloccato…avrei tanto voluto cambiarne il finale, ma, purtroppo, è una biografia e la vita non prende mai la direzione di come vorremmo che andasse!!!

Vi lascio con una delle frasi scritte nell’ultima lettera, datata 23 Luglio 1890, trovata addosso a Vincent Van Gogh e indirizzata al fratello Theo:

“Ebbene, io nel mio lavoro ci rischio la vita, e ci ho perso per metà la mia ragione, e va bene così.”

 

Foto dal web

 

 

 

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