LASCIAMI L’ULTIMO VALZER di Zelda Fitzgerald

Traduttore: F. Abbinante

Editore: Bollati Boringhieri

Collana: Varianti

Anno edizione: 2009

In commercio dal: 10 settembre 2009

Pagine: 263 p., Brossura

EAN: 9788833919348

 

Ancora una volta un romanzo per la lettura condivisa del mio club del libro e stavolta ringrazio chi lo ha proposto, probabilmente da sola non l’avrei mai letto e non avrei conosciuto questa scrittrice.

Zelda Fitzgerald, più famosa come moglie dello scrittore Francis Scott Fitzgerald che come scrittrice, una donna estremamente poliedrica e fuori dal comune.

Ho deciso di approcciarmi al libro senza sapere molto di lei, di solito rinvio gli approfondimenti al termine della lettura, per evitare di farmi influenzare e soprattutto per sottrarmi a spoiler involontari.

La storia narra la vita di Alabama Beggs, dalla sua infanzia sino all’età adulta. Il romanzo inizia con Alabama bambina, ultima figlia di un giudice rigido e autorevole e di una casalinga mite e placida, tipica donna del sud degli Stati Uniti degli anni ‘20.

Sorveglia di nascosto la vita delle sorelle maggiori e comprende di essere differente da loro, di voler vivere “da grande” in maniera diversa. Sin da subito si prefigge lo scopo di  essere libera ed infatti, sarà un’adolescente estremamente vivace, esce con i soldati e si fa ammirare da numerosi pretendenti contemporaneamente, felice che spasimino tutti per lei, suscitando scandalo e l’ira paterna.

Come, però, spesso accade incontra l’uomo che la farà capitolare, tra i soldati che frequenta c’è, infatti, David Knight, un giovane pittore. Si sposeranno e andranno a vivere a New York dove lui si affermerà come artista. La vita Newyorkese dei due è un turbinio di feste e alcool e Alabama e David, osannati da tutti, al centro della vita mondana e delle riviste patinate, perdono il senso della realtà, vivendo oltre le loro possibilità economiche.

Si trasferiscono in Europa e a Parigi Alabama, folgorata dalla bellezza di un balletto a cui ha assistito, decide di voler diventare ballerina, anzi meglio, vuole diventare un’ étoile.

Persegue con sudore e fatica questo suo progetto spavaldamente ingenuo. Assistiamo ad un totale cambiamento, la ragazza viziata che non prende sul serio la vita, abbandona feste e stravizi e si dedica completamente alla danza. Lo fa con sacrificio e dedizione, in un mondo crudele e spietato, considerando anche che ormai non ha più l’età per perseguire questo utopico obiettivo.

Tutta questa parte del libro è  incentrata sulla danza, sulla fatica e sulla crudeltà e la gelosia che le ballerine provano l’una per l’altra.

Per inseguire questo suo sogno, Alabama trascurerà anche la figlia Bonnie e il marito, due persone care che però diventeranno marginali nella sua vita, come s’intuisce dalla scarsa presenza all’interno di queste pagine.

Sono significative le parole della Fitzgerald: “Bonnie pensava ai suoi genitori come a qualcosa di bello e imponderabile, come Babbo Natale, che non aveva nessun peso effettivo sulla sua vita.”

Una donna quindi molto complessa, che ama, sin dall’infanzia, principalmente se stessa e che sogna di essere, in un modo o nell’altro al centro dell’attenzione, come figlia, moglie, alle feste e, fino al palcoscenico vero e proprio, in un crescendo di egoismo e aspirazioni.

Una donna che, come dice lei stessa nel romanzo:

“-Sì ma vedi, David, non è semplice essere due persone contemporaneamente: una che vuole vivere secondo le sue regole e un’altra che desidera mantenere tutte le cose belle del passato ed essere amata e sentirsi protetta e al sicuro.”

 

Pare che il romanzo sia autobiografico, fu scritto in pochissimi mesi durante la sua degenza nell’ospedale psichiatrico di Baltimora. Sembra che il marito cercò in tutti i modi di ostacolarne la pubblicazione  e, comunque, revisionò personalmente i tagli e i vari cambiamenti che impose alla moglie. Si lamentava con gli amici che la consorte lo avesse esposto al ridicolo, avendolo trasformato in un pittore. L’accusa più grave, però, fu che Zelda gli avesse rubato materiale che aveva organizzato per la stesura del romanzo che stava scrivendo. In effetti molti ritengono “Lasciami l’ultimo valzer” il rovescio della medaglia di “Tenera è la notte” del marito e consigliano una lettura parallela per cogliere meglio i due punti di vista degli autori, soprattutto nella descrizione dei loro personaggi.

Effettivamente leggendo la vita dei due Fitzgerald si notano molti punti di contatto, parecchie affinità con quella dei protagonisti del romanzo “Lasciami l’ultimo valzer”. Zelda, come Alabama era una donna eclettica, è stata pittrice,  scrittrice e ballerina. Anche Zelda, infatti, si dedicò alla danza classica, ma, a differenza di Alabama, l’abbandonò per amore del marito.

Del suo lavoro di pittrice ci resta poco, in quanto molti dei suoi quadri sono stati eliminati o fatti distruggere da lei.

Il romanzo ci narra, quindi, la storia di Alabama e David, nella quale si intravede, si riconosce quella della coppia Zelda e Scott, fanno da sfondo alla vicenda i ruggenti anni venti, quelli che Scott Fitzgerald ha splendidamente raccontato ne “Il grande Gatsby”.

Che fosse una lettura singolare lo si percepisce subito, sin dalle prime battute del testo, dove troviamo questa magnifica frase:

“La maggior parte delle persone edifica la propria vita sul compromesso, erige i propri inespugnabili fortini sulla base di una saggia resa incondizionata, fabbrica i ponti levatoi della propria filosofia su ritrattazioni emotive e riversa sui predoni l’olio bollente del risentimento.”

Come s’intuisce, la scrittura non è decisamente semplice, si potrebbe definire barocca, con uno stile tortuoso e stravagante.

È un romanzo che a me è piaciuto moltissimo, mi ha arricchita sotto tanti punti di vista, non ultimo quello lessicale.

La Fitzgerald, a mio parere, ci ha lasciato dei brani mirabili. Vi sono, infatti, alcune descrizioni incantevoli, soprattutto quelle paesaggistiche, che sono di alto livello, pura poesia. Concludo con il mio passaggio preferito:

“La grecità profonda del Mediterraneo si leccava i baffi ai margini della nostra civiltà febbrile. I torrioni si sbriciolavano sui fianchi grigi delle colline disseminando la polvere delle merlature sotto gli olivi e i cactus. Antichi fossati dormivano impigliati nell’intrico del caprifoglio; fragili papaveri tingevano di sangue i bordi delle strade; i vigneti crescevano tra le pietre frastagliate come brandelli di un tappeto logoro. Il rintocco baritonale di stanche campane medioevali proclamava disinteressatamente una vacanza dal tempo. La lavanda fioriva silenziosa sulle rocce. Era difficile vedere, tant’era accecante il riverbero del sole.”

 

 

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