IL COMPIMENTO È LA PIOGGIA di Giorgia Lepore

Editore: E/O

Collana: Sabot/age

Anno edizione: 2018

In commercio dal: 21 marzo 2018

Pagine: 239 p., Brossura

EAN: 9788866329435

 

In un assolato e afoso pomeriggio d’agosto, presso il Castello Angioino di Mola di Bari, nell’ambito della rassegna “Puglia in Giallo” ho avuto modo di partecipare all’incontro con l’autrice Giorgia Lepore che presentava il suo ultimo romanzo, “Il compimento è la pioggia”.

Un piacevole pomeriggio. L’autrice è una persona solare e briosa, che è simpatica “a pelle”. D’altronde è un’archeologa e quindi, come ben sapete ormai, ho una particolare predilezione per l’archeologia e quindi anche per gli archeologi, del resto ne annovero tanti tra le mie amicizie di vecchia data…

Tornado alla presentazione, è stato un pomeriggio decisamente gradevole, di quelli che non vorresti finissero. L’autrice e l’intervistatrice ci hanno “accompagnato” nel mondo di Gerri Esposito, il protagonista del romanzo e degli altri personaggi. Prendendo spunto dalla trama del libro sono anche stati toccati temi importanti come il femminicidio e le problematiche legate all’infanzia che ne conseguono. Attualmente l’autrice insegna Storia dell’arte e questa sua sensibilità insita è sicuramente acuita dal costante contatto con i suoi alunni.

Si è anche accennato al cinema, Gerri Esposito e l’autrice hanno in comune la  passione per il cinema, o meglio l’autrice ha “trasmesso” a Gerri il suo amore per il cinema. Nel libro, infatti, ci sono accenni a vari film come “Irma la dolce”, “Il colore viola” e “The Revenant”.

Durante l’incontro continuava a ronzarmi in testa una interrogativo che prepotentemente saliva sulle mie labbra, al momento della richiesta della giornalista se ci fosse qualche domanda, come al solito sono stata scavalcata da chi, più sicuro di me e meno imbarazzato ha fatto la sua. Nell’esauriente risposta dell’autrice c’era anche quella alla mia domanda!!! Fregata!!!

Quando, quindi, sono stata interpellata ho farfugliato, imbarazzatissima, che in realtà la risposta l’autrice me l’aveva già data…e comunque la domanda era più o meno questa: in considerazione del fatto che l’archeologo è considerato, anzi è il “detective del passato”, quanto il suo corso di studi e la forma mentis archeologica hanno inciso sulla decisione di scrivere un giallo? Effettivamente Giorgia Lepore affermava che in maniera inconsapevole la metodologia della ricerca archeologica l’ha sicuramente aiutata. Non solo, ma applica alla costruzione del romanzo lo stesso metodo di ricerca e scrittura che utilizzava per scrivere una monografia specialistica.

Questa idea mi era sorta perché ho ripensato ad un altro romanzo giallo letto mesi fa, anch’esso di un archeologo,

“Quasi giallo. Romanzo di archeologia” di Enrico Giannichedda (http://labibliatra.altervista.org/quasi-giallo-romanzo-di-archeologia/ ), ma anche Fred Vargas  (di cui non ho ancora mai letto nulla) è ricercatrice di archeozoologia ed esperta in medievistica, ed ho pensato ad una sorta di filo conduttore che unisce archeologi e romanzi gialli. Del resto a un sacco di archeologi che conosco piacciono i gialli!!!

Al termine della presentazione mi sono “accaparrata” la dedica dell’autrice sulla mia copia del romanzo e sono tornata a casa, felice di aver partecipato a questo delizioso pomeriggio.

Come già supponevo, la lettura del libro è stata piacevole e coinvolgente, come ci si aspetta da un romanzo giallo. Una scrittura fluida e che mi faceva scorrere velocemente la lettura desiderando di giungere al finale!

“Il compimento è la pioggia” è un titolo particolare, bello e misterioso, nella pagina iniziale l’autrice inserisce due citazioni, un proverbio arabo, dal quale penso abbia tratto il titolo:

“Le nuvole sono una promessa.

L’adempimento è la pioggia.”

 

L’altra citazione è tratta dal libro “La promessa” di F. Dürrenmatt, che, come ha spiegato durante la presentazione e come scrive nei ringraziamenti è stato d’ispirazione per questo romanzo:

 

“C’è da augurarsi che lei non faccia mai una promessa che debba mantenere.”

E la promessa può essere considerata un filo conduttore del romanzo,

“Scosse la testa. Sara non capì a cosa ma lui stava scuotendo la testa anche all’ultimo pensiero che gli era arrivato. Che anche una promessa mantenuta, forse, ti rovina la vita per sempre.”

La storia si svolge nella città vecchia di Bari in un breve arco di tempo. Ha inizio la notte del sei dicembre e termina con la fine delle feste natalizie, il sette gennaio. La struttura del romanzo, infatti, è costituita da una suddivisone giornaliera, come una sorta di diario, scandita proprio dalle date in cui si svolgono le vicende. Mentre, invece, la storia è narrata in terza persona.

La notte tra il cinque ed il sei dicembre, a Bari vecchia, in una di quelle case tipiche del quartiere, a livello stradale, un “basso”, viene uccisa una giovane donna, Ketty Camarda, in modo brutale e spietato. È una notte particolare, a Bari si festeggia San Nicola e la maggior parte dei cittadini affollano le piccole e tortuose vie del centro storico per recarsi alla messa

“è la notte che non si dorme, è la notte che la chiesa sta aperta e tutti ci vanno”.

C’è gran confusione, luci, suoni, bancarelle e gente, tanta tanta gente, che permette all’assassino di sgusciare via tra vicoli e folla senza essere visto.

Sul luogo viene chiamato l’ispettore di polizia Gerri Esposito, il protagonista del romanzo, e la sua squadra l’ispettrice Sara Coen, il loro capo Marinetti e poi il pm Giancarlo Anteri.

Ad un primo esame Gerri nota l’evidente presenza in casa di due bambini che i primi ad essere intervenuti non hanno trovato. Trema all’idea che possano aver fatto la stessa fine della loro giovane madre, ma lui li trova rannicchiati in una cassapanca. Il più piccolo, Kevin, e Jennifer, piccola anche lei, ma già ferma, decisa e con le idee chiare.

“<<E che dovete capire? Quello è stato. Lui. […] Io lo so. L’ho visto>>.

Lo stava guardando in faccia, dura, fredda, determinata, arrabbiata come a volte lo sono i bambini quando non sanno ancora cosa vuol dire quella rabbia, e non sanno nemmeno quanto è grave quello che stanno dicendo. Serrava le labbra e gli occhi, teneva i pugni stretti sulle gambe, tanto stretti che erano lividi.”

La piccola Jennifer si fida di Gerri e tra loro si instaura un legame profondo e intenso, molto intrinseco e delicato.

In antitesi, quindi, con l’arco di tempo in cui si dipana la storia, il periodo delle festività natalizie, un periodo che dovrebbe essere di pace, sereno, gioioso, quando le famiglie si riuniscono intorno al presepe, all’albero di Natale, al desco imbandito e alla tombola, rinnovando le antiche usanze tramandate dagli avi, Gerri e la sua squadra si trovano ad indagare su questo delitto spietato.

“Quella curiosità si era trasformata nella percezione precisa di essere escluso dalle vite degli altri, da quella festa così come la vivevano tutti. Eppure diceva a se stesso che in fondo quella esclusione era anche dalle depressioni festive, dai pranzi forzati in famiglia in cui tutti facevano finta ma nessuno stava bene sul serio. Dalla recita della felicità, dalla frenesia che in quei giorni pareva prendere tutti tranne lui. Dalle Ketty Camarda fatte a pezzi, anche. In fondo, l’esclusione dalla vita degli altri era anche l’esclusione dal dolore degli altri. Era la salvezza.”

La ricerca del colpevole sarà complicata perché risulteranno tre momenti differenti di violenza perpetrati sulla donna nell’arco della stessa notte e Gerri e gli investigatori dovranno sbrogliare l’intricata matassa.

Della trama non aggiungo altro, già normalmente non amo gli spoiler, ma di un romanzo giallo non si può assolutamente.

A mano a mano che l’intreccio si sviluppa s’interrompe la narrazione e l’autrice, tramite alcuni espedienti, come ad esempio il ricordo di qualcuno dei protagonisti,  ci fa conoscere più approfonditamente i principali personaggi. Così, un po’ per volta, come se fossero tessere di un puzzle riusciamo ad avere di loro una visione più completa e a capire meglio anche alcuni loro comportamenti, di cui in precedenza si era rimasti perplessi.

Talvolta, in alcuni romanzi, questo genere di salti narrativi sono fastidiosi, risultano slegati dal resto della narrazione, l’abilità di Giorgia Lepore, invece, sta proprio in questo, i flashback si amalgamano perfettamente al resto del racconto. Sebbene siano distribuiti nell’arco dell’intera narrazione, una sorta di “racconto nel racconto”, s’inseriscono perfettamente in essa, anzi forse proprio per questa loro struttura aggiungono ulteriore suspense e tengono il lettore ancora di più in quel tipico stato di trepidazione di chi non riesce a staccarsi dal libro se non quando giunge alla fine.

La caratterizzazione dei personaggi è sorprendente, ho amato Gerri Esposito dalle prime pagine, un uomo fuori dal comune, un po’ burbero, solitario, ma con un gran cuore. Una persona estremamente empatica

“Aveva parlato con un tono incredibilmente calmo e fermo, eppure dolce. L’altro smise di piangere in un attimo e chiuse gli occhi, come a cercare la concentrazione. Marinetti non poté fare altro che constatare ancora una volta che quella di Gerri era una capacità innata, istintiva, di riuscire a far parlare gli altri. Questo lo faceva sentire meno solo, in quell’insano lavoro quotidiano di governare l’ingovernabile male del mondo.”

E ancora,

“Sara lo guardava e, come sempre in queste situazioni, si chiedeva chi fosse davvero il suo collega. Era la sua infinita pazienza che a volte veniva fuori a sconcertarla: perché l’ispettore Esposito sapeva essere tanto odioso, insofferente, sempre scocciato di tutto e coi nervi a fior di pelle, quanto calmo, paziente, controllato, e anzi gentile e suadente. Comprensivo. Concentrato.”

Un personaggio che, invece, ho odiato sin dal primo momento è il pm Giancarlo Anteri, un uomo odioso, che ha tutti i difetti possibili,

“<<Oh, calmi, calmi…stavo mettendo alla prova l’efficienza della polizia barese. Sono il pm. Giancarlo Anteri>>.

<<Ah, e poteva pure dirlo prima, scusi, eh>>.

Marinetti lo catalogò mentalmente: giovane, milanese e stronzo.”

Maschilista e razzista

“Certo, era romana. Però era tanto figa, spettacolare, oltre che una donna seria, intelligente, affidabile. Avrebbe fatto carriera, ne era sicuro, e per una come lei avrebbe anche potuto contravvenire alle due regole di mamma in fatto di donne: mai sotto la linea Firenze-Bologna, e mai una con cui lavori.”

Eppure Giorgia Lepore, durante la presentazione del libro, ci confessò che era un personaggio che le faceva tenerezza, mah!

Mentre leggevo il romanzo, a pagina 70, alla fine di un capitolo, trovo una scritta in corsivo:

“Guardo il cielo che risplende e mi chiedo dove sei.”

Mi ricorda qualcosa, ma non riesco a focalizzare cosa. Non ci penso più, fino a quando non trovo, alla fine di un’ altro capitolo un’altra frase, in corsivo, sempre staccata dal contesto:

“E anche il cielo che risplende non mi dice dove sei.”

Torno indietro, cerco la prima frase, le leggo di seguito e i pochi neuroni rimasti nel mio piccolo cervello iniziano a lavorare freneticamente…eureka!!!

Sono i versi della canzone “Solo mia” del grande Vinicio Capossela,  che l’autrice sparge qua e là nel libro, un ritornello forse che risuona nella testa di Gerri, che possiede tutta la discografia del cantautore. Ascoltatela se non l’avete mai fatto, è meravigliosa, una poesia.

Un’ultima parola vorrei spenderla a favore della città scelta, Bari. La conosco e la amo da sempre, è incantevole. L’autrice la descrive nelle sue minime sfaccettature, i lati positivi e quelli negativi, il sole e il caldo a dicembre. La meraviglia e la gioia di un rara spruzzata di neve

“Nevicava ancora, la neve si scioglieva solo a contatto con il mare, e Gerri guardava quello strano fenomeno della spiaggia di Pane e Pomodoro imbiancata, e dei fiocchi solubili in acqua con una lieve effervescenza.”

E poi… la mia amata Bari Vecchia,

“Dentro Bari vecchia le case sono fatte in modo che ci si può guardare dentro, e lui curioso lo faceva, trovandosi a provare qualcosa che non sapeva ben definire, nostalgia e desiderio, e non si capiva bene dove finiva una e cominciava l’altro. Nostalgia di cosa, poi, era impossibile provare nostalgia di cose mai avute.”

 

l’ho frequentata per anni, per motivi di studio ed ho imparato ad amare una zona che all’epoca non era ciò che è oggi, il centro della “movida” barese, era considerata “pericolosa” ed invece era bella, caratteristica, con suoni, colori e voci tipici della “pugliesità”. Tante volte, tra una lezione teorica e una pratica, sono andata a quello che penso sia il panificio che viene descritto nel romanzo, ho comprato con alcuni colleghi di corso un pezzo di focaccia e siamo andati a godere del sole, della vista e della brezza del mare su quella che tutti chiamano “la muraglia” (ciò che resta delle fortificazioni verso mare che proteggevano Bari dal XII al XIX secolo).

Per me tutto ciò è un valore aggiunto a questa bellissima e dolorosa storia narrata nel romanzo. Non vedo l’ora di leggere nuove indagini dell’ispettore di polizia Gerri Esposito e della sua squadra, nel frattempo cercherò di recuperare con i due romanzi precedenti della stessa serie, “I figli sono pezzi di cuore” e “Angelo che sei il mio custode”.

“Jennifer aveva una grande passione per le promesse. Le pareva che fossero una minima garanzia di ordine al mondo, aveva bisogno che qualcuno le assicurasse che le cose sarebbero andate nella giusta maniera e siccome aveva imparato che di questi qua, di tutti, c’era poco da fidarsi, allora si faceva fare promesse, in continuazione. Anche se sapeva già qualche istante dopo che erano parole al vento, che dicevano di sì e poi non mantenevano, perché se lo scordavano o perché mentivano – questo non lo aveva ancora capito bene -, ma lei testarda continuava a chiedere e a pretendere promesse e giuramenti, con le dita incrociate e baciate due volte, a diritto e a rovescio.”

 

 

 

Precedente LA VITA È ALTROVE di Milan Kundera Successivo VECCHI AMICI E NUOVI AMORI di Sybil G. Brinton